(da La Repubblica ed. Palermo del 26/11/2013)

Il 1943 segnò una svolta cruciale nella seconda guerra mondiale. Il regime fascista che dominava l’Italia da vent’anni ne uscì travolto: gli alleati sbarcarono in Sicilia (9 luglio), Mussolini venne sfiduciato dai suoi (25 luglio), fu annunciato l’armistizio (8 settembre). Il paese divenne il campo di battaglia dei contrapposti eserciti tedesco e anglo-americano. Sotto l’egida dell’uno e dell’altro, si crearono due governi italiani: quello del regno del Sud, che incarnava la continuità monarchica, quello della Repubblica Sociale, con il suo esperimento neo-fascista.
Le popolazioni vennero più pesantemente coinvolte per le privazioni collettive e per i bombardamenti. Quante volte abbiamo sentito i racconti dei nostri vecchi sulla tragica epopea di quei tempi! Si videro i primi bagliori della lotta partigiana, si consumarono atrocità degli occupanti, stupri dei marocchini, prime stragi nazifasciste, il primo massacro delle foibe. Cominciarono i rastrellamenti tra gli ebrei italiani. Cominciò il loro viaggio verso lo sterminio.
I guerrieri chiesero il contributo di tutti, ma da questo momento sempre più spesso rivolsero le loro armi contro tutti, e fu guerra con i civili e contro i civili. Nel 1943 la storia italiana accelerò visibilmente il suo passo.
Dai suoi tragici dinamismi nessuno poté restare fuori.
Tutto questo spiega il perché, in questo 2013, sia stato ovunque ricordato nel nostro paese il settantesimo anniversario del 1943, con iniziative della più diversa natura.
Spiega anche il senso del Convegno internazionale di studi sul 1943, lo sbarco in Sicilia e il mondo nuovo, promosso dalla Fondazione Federico II guidata da Francesco Forgione, con l’ apporto delle tre università pubbliche siciliane (Palermo, Catania e Messina), su un progetto di Rosario Mangiameli e mio; che si inaugurerà giovedì 28 mattina a Palazzo reale.
Ho detto non a caso che il 1943 viene ricordato, non che viene celebrato. Nel 2011, è stato celebrato a buon diritto il 1861, data non solo dell’ unità d’ Italia, ma anche della conquista delle prime (seppure insufficienti) libertà politiche. Potrà essere celebrato nel 2018 il centenario del 1918, vittoria italiana in un’ altra grande guerra.
Sarà bello celebrare nel 2016 la nascita della Repubblica, e ancora nel 2018 quella della Costituzione, la conquista della democrazia.
Chiaro che ognuna di queste celebrazioni, anche quest’ ultima, può essere oggetto di contro-celebrazioni revisioniste, superficiali o fondate che siano. Gli anniversari, questi compleanni della storia, servono a definire l’ identità eticopolitica dei popoli. La riflessione storiografica, che è altra cosa, li accompagnerà, ne trarrà stimoli intellettuali e spunti interpretativi.
Mi sembra che l’ esperienza del 2011 abbia mostrato come questi due aspetti possano positivamente sostenersi l’ un l’ altro: abbiamo avuto una celebrazione, una più o meno valida revisione, e molta strada è stata aperta a nuovi studi.
Sul piano identitario e civile, la questione del 1943 si presenta un po’ diversa. Ci confrontiamo con eventi straordinariamente tragici.
Parliamo sì della caduta del regime fascista che irresponsabilmente aveva trascinato gli italiani in quella catastrofe, ma senza dimenticare che essa fu dovuta a una congiura di palazzo, la quale consegnò il paese a un monarca subito dimostratosi incapace di salvarlo; e che anzi vergognosamente scappò lasciando l’ esercito senza ordini, impossibilitato a fronteggiare minimamente la prevedibile, prevista reazione tedesca. Direi che c’ è ben poco da celebrare, e molto da ricordare. In questo senso noi confidiamo che l’ anniversario del 1943 rappresenti uno stimolo importante per una riflessione storiografica sganciata dalle opzioni ideologiche precostituite, le quali necessariamente si accompagnano all’ idea stessa di celebrazione. Molto di positivo si è visto nella discussione di quest’ anno. Ho ragione di credere che i numerosi e validissimi studiosi presenti nel convegno palermitano che sta per aprirsi potranno fornire importanti, originali contributi.
In questo senso abbiamo intitolato il convegno a il mondo nuovo.
Ovvero il 1943 rappresenta una drammatica transizione, come un parto doloroso in cui l’ Italia nuova appena si intravede. Questo parto per larga parte si consumò nel Sud e in Sicilia. La Sicilia fu la prima regione italiana investita dal ciclone, per prima se ne tirò fuori, per prima provò a inserirsi in un nuovo ordine dovendo però subito prendere atto sulla sua pelle di quanto questo fosse difficile: per le difficoltà degli alleati di mettere in atto la loro promessa di prosperità e libertà, per le difficoltà degli isolani (di tutti gli italiani) di trovare in se stessi le risorse adatte a costruire il futuro. Da qui la fame e il mercato nero, il banditismo e la mafia, le rivolte e le stragi, la tentazione di tirarsi fuori dalla nazione, ma anche la voglia di parteciparvi di più e meglio.

Salvatore Lupo