Palermo, 25 gennaio 2016 – Dopo lo straordinario successo della mostra “Via Crucis, La Pasión de Cristo” di Fernando Botero, nella sala Duca di Montalto del Palazzo Reale di Palermo sarà ospitata dal 19 marzo al 31 agosto  2016  un’importante esposizione monografica dedicata ad Antonio Ligabue.

 

L’esposizione, promossa dalla Fondazione Federico II di Palermo e dalla Fondazione Museo Antonio Ligabue di Gualtieri, è curata dal professor Sandro Parmiggiani, già direttore di Palazzo Magnani e direttore della Fondazione Museo Antonio Ligabue di Gualtieri e a cura di Sergio Negri, presidente del comitato scientifico della medesima Fondazione, con l’organizzazione generale di C.O.R. (Creare-organizzare-realizzare).

La mostra propone, attraverso oltre ottanta opere, un excursus storico e critico sull’attualità dell’opera di Ligabue che, seppur incentrata su pochi temi sempre ripetuti e sempre rinnovati, rappresenta ancora oggi una delle punte più interessanti dell’arte del Novecento.

 

La mostra

La rassegna monografica “Antonio Ligabue (1899-1965). Tormenti e incanti” intende fare conoscere i diversi esiti dell’opera dell’artista, nel corso della sua attività (dagli anni Venti al 1962), declinati nelle diverse tecniche attraverso le quali Ligabue si è espresso. La mostra, anche attraverso le scelte di allestimento, permetterà di approfondire e scavare nei nuclei tematici fondamentali dell’artista, per vedere sia come variano nel tempo i suoi centri di interesse sia come si evolve un particolare motivo, e i reciproci transiti dall’uno all’altro. Due sono i filoni fondamentali cui si è dedicato Ligabue: gli animali esotici, della foresta, e comunque tutti quelli che possono essere definiti predatori; gli autoritratti, un capitolo di dolente, amara poesia. Non mancano tuttavia altri soggetti, quali le scene di vita agreste e gli animali domestici, e alcuni ritratti su commissione.

 

 

Ligabue studiava accuratamente l’anatomia degli animali che rappresentava, e le loro posture tipiche assunte nelle fasi della caccia o del lavoro, desunte dall’osservazione diretta e da varie fonti

iconografiche (le figurine Liebig, “La vita degli animali” di Brehm, la frequentazione dei Musei Civici di Reggio Emilia), reinventando il semplice dato di partenza attraverso una pittura in cui si fondono visionarietà espressiva (sia nelle forme che nel colore) e ricorso a elementi puramente decorativi (i mantelli degli animali, la vegetazione, le carte da parati negli interni, i tessuti delle giacche). Va rimarcato che in molti dei suoi paesaggi padani irrompono, sullo sfondo, le raffigurazioni dei castelli e delle case della natia Svizzera, assolutamente reali, esito di una memoria che tenacemente serbava certe immagini perché quelle radici erano troppo importanti per la sua vita. Gli straordinari autoritratti, infine, rappresentano un’esplicita, orgogliosa dichiarazione del suo valore d’artista e della sua identità di persona umana, spesso dileggiata e irrisa – si può affermare che Ligabue visse come “straniero in terra straniera” –, e l’impietosa descrizione dei tratti del suo volto, segnati da sentimenti di solitudine e disagio esistenziale, e dal costante presagio dell’esito finale.